IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI Letti gli atti del procedimento penale n. 1737/83 mod. 26 g.i.p. e n. 3605/93 mod. 22 p.m., relativi ad esposto di Rigoni Rinaldo, ha pronunciato la seguente ordinanza. Con esposto pervenuto presso la procura della Repubblica di Bassano del Grappa in data 14 ottobre 1993 Rigoni Rinaldo, rappresentante del gruppo locale del W.W.F., denunciava lo svolgimento di attivita' di allenamento ed addestramento di cani da caccia ed il loro successivo impiego nell'esercizio venatorio, attivita' illecite alla stregua della legge statale vigente n. 157/1992, e, in particolare, degli artt. 13, 10, 20 (rectius: 28), n. 2, e 21, lett. ff). In data 19 ottobre 1993 il pubblico ministero, ritenuto che dalle stesse norme richiamate dall'esponente si evincesse l'intenzione del legislatore del 1992 di consentire, e non di vietare, l'uso dei cani nell'esercizio della caccia, e non ravvisando pertanto ipotesi di reato nell'impiego di cani nell'esercizio venatorio, chiedeva a questo g.i.p. l'archiviazione del procedimento. Cio' premesso in punto di fatto, osserva in punto di diritto. L'art. 13 della legge 11 febbraio 1992, n. 157, vieta "tutte le armi e tutti i mezzi per l'esercizio venatorio" che non siano da esso esplicitamente ammessi, e, tra essi, non annovera il cane. Di cani si parla invece nell'ottavo comma, lett. e), dell'art. 10, nell'art. 21, primo comma, lett. ff), e nell'art. 28, secondo comma. La prima di tali norme concerne "le zone e i periodi per l'addestramento, l'allenamento e le gare di cani anche su fauna selvatica naturale o con l'abbattimento di fauna di allevamento appartenente a specie cacciabili", che devono essere previsti nei piani faunistico-venatori da predisporsi a cura delle province. Difficile e' tuttavia desumere la liceita' dell'uso dei cani nell'esercizio della caccia da questa norma, perche' essa riguarda attivita' diversa da quella venatoria, che possono ritenersi finalizzate anche solo all'esportazione (cosi' vincendo la possibile obiezione fondata sulla considerazione che consentire l'addestramento e l'allevamento dei cani da caccia ha un senso solo se ne e' ammesso l'uso nell'esercizio venatorio). Il secondo comma dell'art. 28, a sua volta, si limita a stabilire che "nei casi previsti dall'art. 30, gli ufficiali ed agenti che esercitano funzioni di polizia giudiziaria procedono al sequestro delle armi, della fauna selvatica e dei mezzi di caccia, con esclusione del cane e dei richiami vivi autorizzati". Posto che le armi e i mezzi passibili di sequestro sono sia quelli consentiti che quelli vietati - il tenore della norma non consente infatti di operare distinzione alcuna -, rinvenire la ragione di siffatta esclusione nella liceita' dell'impiego dei cani da caccia significa dare per dimostrato cio' che, invece, e' oggetto di dimostrazione. Ne' maggiori indicazioni possono trarsi dall'accostamento operato dalla norma in parola, ai fini dell'esclusione dal sequestro, tra il cane e i richiami vivi autorizzati: e' vero che anche questi ultimi non sono menzionati nell'art. 13; vi e', tuttavia, una serie di norme che li riguarda, da cui puo' con certezza desumersi che il loro uso e', a date condizioni, consentito (v., infatti, l'art. 21, lettere p), q) e r), nonche', soprattutto, l'art. 5, secondo comma, ove si parla espressamente di esercizio dell'attivita' venatoria con richiami vivi). Nell'articolo citato, in definitiva, mentre non sono ravvisabili elementi idonei a sostenere l'assunto della liceita' del cane nell'esercizio venatorio, si rinviene conferma che il cane e' un mezzo di caccia - tale era d'altra parte considerato anche dalla previgente legge 27 dicembre 1977, n. 968, il cui art. 9, recante la rubrica "Mezzi di caccia", autorizzava il titolare della licenza di caccia a portare il cane durante l'esercizio venatorio -. Di maggiore interesse, per il fine che ne occupa, appare l'art. 21, lett. ff), ai sensi del quale e' vietato "l'uso dei segugi per la caccia al camoscio". Spontanea sorge infatti la considerazione che, qualora il legislatore avesse inteso vietare in via generale l'utilizzo dei cani, non avrebbe avuto alcuna necessita' di ripetere tale divieto con specifico riguardo ad una data specie cacciabile. Peraltro, nella legge n. 157/1992 si rinvengono altre norme di analogo tenore, meramente ripetitive di principi e divieti di carattere generale (v., ad es., la lett. u) del medesimo art. 21, che vieta l'uso di esche e bocconi avvelenati, vischio ed altre sostanze adesive, trappole, reti, tagliole, lacci, archetti e congegni similari, etc.: mezzi invero gia' inclusi nel divieto di cui all'art. 13). Decisivo e' poi il rilievo che nell'impostazione dell'intera legge n. 157/1992, l'esercizio dell'attivita' venatoria e' consentito nei soli limiti, modi e termini in essa espressamente previsti, stante la priorita' dell'interesse, nazionale ed internazionale, alla tutela della fauna selvatica (v. gli artt. 1, e, in particolare, il suo secondo comma, e 10; lo stesso art. 13, quinto comma, e' espressione di siffatta impostazione). L'immanenza di tale principio preclude all'interprete di compiere operazioni ermeneutiche del tipo di cui sopra si e' detto, giacche' esse postulano il contrario assunto della liceita' di tutto cio' che il legislatore non ha esplicitamente vietato. Il quadro normativo appena delineato e' dunque tale che, da un lato, non puo' in via di mera interpretazione affermarsi la liceita' dell'impiego dei cani nell'esercizio dell'attivita' venatoria, mentre, dall'altro, ricomprendere i cani tra i mezzi di caccia vietati, il cui uso e' penalmente sanzionato ai sensi dell'art. 30, lett. h), pone una questione di legittimita' costituzionale di quest'ultima norma sotto un duplice profilo: in primo luogo, per violazione dell'art. 25, secondo comma, della Costituzione, la cui funzione garantista importa la necessita' che la fattispecie penale sia formulata in modo tale da assicurare la certezza della legge, e, attraverso essa, l'eguaglianza giuridica dei cittadini e la possibilita' di conoscere cio' che e' e cio' che non e' penalmente vietato; in secondo luogo, per violazione dell'art. 3 della Costituzione, per la disparita' di trattamento, priva di ragionevole giustificazione, tra l'esercizio venatorio con l'uso di cani ed altre forme consentite di attivita' venatoria - in particolare, la caccia da appostamento fisso o temporaneo con richiami vivi -. Va pertanto ritenuta la non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale degli artt. 30, lett. h), e 13 della legge 11 febbraio 1992, n. 157, nonche' la sua rilevanza ai fini della decisione sulla richiesta di archiviazione formulata dal p.m.